La sicurezza sul lavoro e la tutela delle lavoratrici gestanti puerpere o in periodo di allattamento
La gravidanza è un periodo molto delicato per una donna, e nel contesto lavorativo sono diverse le situazioni che richiedono un’attenzione particolare.
Anche delle semplici attività quotidiane, che in precedenza erano considerate “normali”, possono infatti comportare dei rischi per la salute e la sicurezza (sua e del bambino).
Non va dimenticata che anche il periodo puerperio ed allattamento è da considerarsi un periodo delicato e pertanto il datore di lavoro deve mettere in atto tutte le misure di prevenzione protezione utili a proteggere la lavoratrice ed il nascituro in tutte e tre le fasi elencate.
Questo alla luce del fatto che il puerperio è il periodo di circa sei-otto settimane che segue il parto, durante il quale il corpo della donna torna allo stato pre-gravidico e la famiglia si adatta alla nuova vita con il neonato. È un momento di importanti cambiamenti fisici (come l’involuzione uterina e la guarigione delle ferite) ed emotivi (come sbalzi d’umore e l’adattamento alla maternità), che richiede riposo, supporto e tempo per instaurare un legame con il bambino.
Sono tutti aspetti che il datore di lavoro deve tenere in considerazione per gestione e la tutela della donna in gravidanza.
I soggetti tutelati dalla legge
Le lavoratrici tutelate dalla legge sul lavoro durante la gravidanza includono tutte le lavoratrici dipendenti (anche cooperative, apprendiste, a domicilio, agricole a tempo indeterminato o determinato con specifici requisiti), le lavoratrici di pubblici servizi di trasporto, le lavoratrici in ASL/APU, e le lavoratrici con disoccupazione o sospensione dal lavoro.
La protezione si estende anche ai padri in determinati casi, come morte, infermità grave o abbandono della madre, e ai genitori adottivi o affidatari.
Normativa di riferimento: cosa dice la legge
Le misure di tutela della sicurezza e della salute delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento fino a sette mesi dopo il parto, che hanno informato il datore di lavoro del proprio stato, sono contenute nel Decreto Legislativo 26 marzo 2001 n. 151 “ Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, a norma dell’articolo 15 della legge 8 marzo 2000 n. 53”.
Tale decreto prevede:
- per tutte le lavoratrici un periodo di interdizione obbligatoria dal lavoro che comprende i due mesi precedenti e i tre successivi al parto. Ciò è un diritto per la donna ed un obbligo per il datore di lavoro (articolo 16 D. Lgs. 151/01);
- il divieto di adibire le lavoratrici a determinate attività lavorative per l’intera durata della gravidanza e, per molte di queste, anche fino a sette mesi dopo il parto in considerazione dei rischi per la salute (articoli 7, 8, 9, 10, 11, 12 D. Lgs 151/01). L’applicazione di questo divieto prevede la modifica temporanea delle condizioni o dell’orario di lavoro delle lavoratrici , o il loro spostamento ad altra mansione idonea o , se ciò non è possibile, il loro allontanamento dal lavoro mediante il prolungamento del periodo di interdizione obbligatoria. (artt.7, 12, 17 del D. Lgs. 151/01). Nel periodo di allontanamento l’interessata conserva il posto di lavoro, la retribuzione e i contributi;
- di poter scegliere, ferma restando la durata complessiva dell’astensione obbligatoria, di posticipare il periodo di interdizione obbligatoria dal lavoro, assentandosi un mese prima del parto e quattro mesi dopo, a condizione che il medico specialista del SSN – o con esso convenzionato – e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro (art. 20, D.Lgs. 26 marzo 2001, n. 151). Il ricorso all’opzione è immediatamente esercitabile in presenza dei seguenti presupposti:
- assenza di condizioni patologiche che configurino situazioni di rischio per la salute della lavoratrice e/o del nascituro al momento della richiesta;
- assenza di un provvedimento di interdizione anticipata dal lavoro da parte della competente Direzione provinciale del lavoro – Servizio ispezione del lavoro – ai sensi dell’art. 5 della L. 30 dicembre 1971 n. 1204;
- venire meno delle cause che abbiano in precedenza portato ad un provvedimento di interdizione anticipata nelle prime fasi di gravidanza;
- assenza di pregiudizio alla salute della lavoratrice e del nascituro derivante dalle mansioni svolte, dall’ambiente di lavoro e/o dall’articolazione dell’orario di lavoro previsto; nel caso venga rilevata una situazione pregiudizievole, alla lavoratrice non può comunque essere consentito, ai fini dell’esercizio dell’opzione, lo spostamento ad altre mansioni ovvero la modifica delle condizioni e dell’orario di lavoro;
- assenza di controindicazioni allo stato di gestazione riguardo le modalità per il raggiungimento del posto di lavoro.
Cosa prevede la valutazione rischi
Come specificato nel Testo Unico sulla sicurezza, in tutte le aziende con almeno un lavoratore il datore di lavoro è tenuto ad effettuare una valutazione dei rischi per le lavoratrici in gravidanza, in modo da valutare le eventuali situazioni pericolose e le misure da attuare sia per le lavoratrici in forza all’azienda che nel caso dovessero essere assunte delle donne in un secondo momento.
L’articolo 28 del D.Lgs. 81/08, infatti, prevede che la valutazione del rischio gestanti debba includere “tutti i rischi per la sicurezza e salute dei lavoratori, ivi compresi (…) quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza”.
Il datore di lavoro, insieme all’ RSPP, al Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza e al medico competente, dovrà quindi valutare:
- le diverse mansioni previste;
- l’esposizione a tutti i rischi potenziali;
- la presenza o meno dei rischi associati alla gravidanza;
- le caratteristiche strutturali delle diverse zone di lavoro e i rischi correlati;
- le adeguate misure di protezione e prevenzione.
Nel documento valutazione rischi, inoltre, andranno considerate le situazioni di rischio associate non solo al periodo della gravidanza ma anche al puerperio e all’allattamento.
Dalla valutazione dei rischi obbligatoria, il datore di lavoro può capire quali misure adottare per tutelare la salute e sicurezza delle lavoratrici gestanti.
Nel caso di lavori vietati in periodo di gravidanza, che vedremo nel prossimo paragrafo, il datore di lavoro può valutare di:
- assegnare alla lavoratrice un’altra mansione compatibile, che non la esponga a rischi;
- modificare le condizioni di lavoro, l’orario o il luogo lavorativo, sempre nell’ottica di evitare l’esposizione ai rischi;
- qualora non fosse possibile, procedere con l’invio della richiesta di interdizione anticipata agli Enti competenti.
Dunque, dovendo fare il possibile per eliminare ogni rischio potenziale, il datore di lavoro può ricorrere anche a un cambiamento dell’organizzazione aziendale. Un esempio può essere legato al lavoro notturno (orario dalle 24 alle 6), che per le donne è vietato dal momento dell’accertamento della gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino (art. 53 del D.Lgs. 151/2001).
Il datore di lavoro è comunque sempre tenuto a informare le lavoratrici sui risultati della valutazione dei rischi e sulle misure di prevenzione e protezione stabilite.
Al tempo stesso, anche le lavoratrici, una volta accertato lo stato di gravidanza, hanno l’obbligo di comunicarlo tempestivamente al datore di lavoro.
Fase post partum
Nella fase post-partum, la sicurezza sul lavoro della neo mamma prevede diritti e tutele specifiche, che includono:
- l’interdizione automatica dal lavoro per 7 mesi dopo il parto in caso di mansioni rischiose (In casi di attività lavorative a rischio che non possono essere eliminate o modificate, è possibile richiedere un provvedimento di interdizione fino a 7 mesi dopo il parto. L’interdizione può essere chiesta dall’azienda o dalla lavoratrice e va inoltrata all’Ispettorato Territoriale del Lavoro (ITL));
- la possibilità di chiedere l’astensione facoltativa, permessi per allattamento retribuiti al 100% (due ore al giorno per i full-time, una per i part-time);
- se l’attività lavorativa presenta rischi specifici, il datore di lavoro può modificare temporaneamente le mansioni o l’orario, spostare la lavoratrice ad altre attività non pregiudizievoli o ridurre le ore di lavoro.
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